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Rutger Hauer: l’attore invisibile

[Tutte le volte che la mia fiducia nel genere umano viene messa a dura prova, poi accade qualcosa che mi riporta in carreggiata, la mia, quella dell’ottimismo. Ora, non immaginatemi come una che se ne va in giro con un sorriso da ebete stampato in faccia, ma in linea di massima le persone a me piacciono e tutto sommato anche la vita.

Mi piace la mia tanto bistrattata città, che oggi mi ha regalato la possibilità di trascorrere la mattina in compagnia di Rutger Hauer, per gli amici Roy. E’ in Italia per i 30 anni di Blade Runner, che Warner Home Video festeggia con un cofanetto da collezione in edizione limitata, in vendita dal 21 novembre prossimo]

Blade Runner è uno dei miei film culto, quelli che rimangono incollati addosso tutta la vita, per un motivo o per l’altro . Il mio (e credo sia quello di tanti) è la famosa scena delle lacrime nella pioggia, in cui un uomo bambino con il volto sanguinante, pronunciando una manciata di parole sul finale (“… all those moments will be lost in time like tears in rain…”), oscura completamente il povero Harrison Ford, che si era “pupazzato” nel ruolo di protagonista per tutto il film.

A quel punto Ford sparisce, e scompare anche Hauer, restano solo le immagini e la forza di quelle splendide righe di sceneggiatura. Rimane il film, nella sua interezza: un’opera in cui gli attori sono come elementi in un’orchestra, come voci in un coro. Credo che Rutger Hauer intendesse proprio questo quando stamattina ha detto agli allievi del Centro Sperimentale di Cinematografia di Milano: «Il compito di un attore è cercare di essere invisibile. Ogni volta che riesci a valorizzare il film, mettendo da parte il tuo ego, allora hai fatto centro!».

Dopo essere rimasto chiuso nell’ascensore della scuola ed essere stato liberato 20 minuti dopo dai vigili del fuoco (ebbene sì, certe cose succedono anche ai replicanti), quest’uomo di quasi 70 anni ha dimostrato di avere ben poco del “divo” e di possedere piuttosto una gran dose di umiltà. Un altro, al suo posto, avrebbe dato in escandescenze, “ribaltando” le persone che in quel momento stavano lavorando con lui.

Lui no. E’ uscito sorridendo, ha detto soltanto «it was a stunt, ok?!» e ha scattato foto ai presenti e ai vigili del fuoco (qui la testimonianza video). Poi ha fatto un paio d’ore d’interviste singole e altre due buone di masterclass con gli studenti. Qui, con gli occhi sgranati di un bimbo, ha tessuto le lodi della Rete: ha raccontato di notti passate a guardare filmati incredibili e delle tante chicche scovate.

E alla mia domanda «Crede veramente che la gente sia abbastanza intelligente da capire dove c’è qualità in Internet?», Mr. Hauer ha risposto «Assolutamente sì! C’è qualità ogni volta che ti soffermi prima di cliccare altrove. Dalle cose belle è sempre più difficile navigare via».

Un commento

  • dida ghini

    mi ricordo di averlo visto la prima volta con mio papà. mi ricordo che pioveva dentro e fuori lo schermo e avevo paura di respirare troppo forte e di disturbare mio padre. era così concentrato e pensieroso.
    mi son soffermata prima di cliccare altrove! 🙂
    ha ragione lui!

    dd.

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