cinema,  parole

elogio delle porte chiuse


Dietro ogni porta chiusa si nascondono misteri, parole non dette, sensazioni non condivise. E fin qui potrebbe anche sembrare un concetto negativo. Ma non lo è. Almeno non quando si tratta di una libera scelta. Quando non sono le persone, le situazioni o il nostro stesso inconscio a imporcelo.

Quando sei tu a decidere che quelle porte vanno lasciate chiuse è perché dietro ci sono cose che vanno protette, salvate da fiumi di parole inutili e da vivisezioni impietose. Emozioni sospese che non vuoi tocchino terra. Mai. Tanto sai perfettamente che non esistono scarpette abbastanza grandi da calzar loro a pennello. E vederle strette in décolleté fuori misura sarebbe una scena a dir poco penosa.

Siamo proprio sicuri che un finale debba necessariamente spiegare il film? Che il testo di una canzone vada sempre compreso in toto? Che una poesia presupponga necessariamente una parafrasi? A scuola le odiavo, le parafrasi. Montale e Baudelaire rivoltati come calzini, colmati di significati, ma così crudelmente depredati di poesia. E quanto mi piaceva ascoltare i primi dischi di Tori Amos, pieni di enigmi e metafore incomprensibili.

Tanto, mettiamoci il cuore in pace: ci sono cose che colpiscono a prescindere, arrivando comunque dove devono. E lo fanno proprio mentre noi siamo lì che ci affanniamo a interpretarle. Si sono già insinuate sotto pelle.

Abbiamo davvero bisogno di vivere in open space di sentimenti? Oppure è meglio tirar su qualche muro in questi loft di interpretazioni facili? E provare a spalancare occhi, orecchie e anima, soprattutto di fronte a quello che resta sospeso?

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